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A Povoletto, paese in provincia di Udine nel territorio dei Colli Orientali del Friuli, tutti sanno che Sara è un cognome e che vuol dire vino. La famiglia Sara da queste parti ha i suoi vigneti fin dall'inizio degli anni ‘50: prima ci fu Dante, il fondatore, poi Giuliano, ora ci sono i suoi figli Alessandro e Manuele che gestiscono l'azienda insieme alla mamma Oriana Giuliani. Parliamo di una piccola realtà, circa 4 ettari vitati e 15-20.000 bottiglie all'anno, ma da queste parti la frammentazione delle aziende è un dato di fatto storico che, però, non ha impedito di ottenere risultati enologici meravigliosi, anzi. L'etichetta Sara&Sara è nata solo nel 1991 ma è l'erede di una tradizione di almeno altre due generazioni: qui si usa la tecnologia senza esagerare, affiancandola a tecniche produttive antiche come l'appassimento delle uve sui graticci, reso possibile da un microclima ideale. Qui, grazie alla «muffa nobile», la botrite, si ottengono vini inimitabili, dal Picolit al Verduzzo passito, ovviamente se si hanno le capacità e la passione richieste. All'azienda Sara&Sara da questo punto di vista non manca nulla. La cantina è a Savorgnano del Torre, frazione a nord di Povoletto, dove con la parola Torre si intende un torrente, ma di quelli carsici che adesso ci sono e dopo dieci metri spariscono sotto i sassi. Il luogo è incantevole, come sanno esserlo le colline ricoperte dai vigneti, con l'aggiunta di qualche cipresso, e l'ammodernamento della struttura ha creato, oltre ai locali per l'appassimento e l'affinamento in barrique, anche una sala degustazioni per i «gioielli di famiglia».
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Crei Verduzzo Friulano 2010
DOC Friuli Colli Orientali
Sara & Sara
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Il connubio tra viticoltura friulana e verduzzo è antico e storico e ha scandito la vita contadine locale già a partire dal ‘400. È celebre un banchetto del 6 giugno 1409 in onore di Papa Gregorio XII, che presiedeva ll Concilio Generale di Cividale, durante il quale venne servito anche il “Verduzzo” di Faedis e il “Ramandolo” di Torlano.
Le cronache raccontano che il Verduzzo superò abbastanza agevolmente l’ondata di malattie della vite che nella seconda metà dell‘800 flagellarono tutto il vigneto italiano ed europeo. Ripercorrendo sempre i documenti storici, il Verduzzo era considerato in Friuli un’ottima uva da allevare insieme al Picolit: quest’ultima, a causa dell’aborto floreale, ha sempre una scarsa produzione, sicché già il Perusini, nel 1935, ne consigliava l’allevamento al nostro Verduzzo, considerato un ottimo impollinatore.
Esistono due biotipi di verduzzo friulano: uno “verde”, che dà origine a vini secchi e dal corpo leggero, di discreto corredo aromatico, e uno “giallo”, noto per la sua prorompenza aromatica e la capacità di donare acidità e grande dolcezza ai vini che se ne ricavano. Proprio da questo biotipo deriva anche il famoso Ramandolo, un altro celebre biotipo del Verduzzo
Un vino raro, non solo per la bontà e l’originalità che lo contraddistingue, ma anche per l’esigua produzione che vede in commercio solo 1000 mezze bottiglie all’anno, e solo nelle annate ritenute ideonee. E questo per un semplice motivo: non sempre la muffa nobile, che nella produzione del Verduzzo Crei è fondamentale, trova ogni anno le condizioni migliori per “aggredire” e trasformare ne modo giusto i grappoli delle tre uve che vanno a comporre questo blend di Verduzzo Friulano, Friulano (ex Tocai) e Sauvignon. La vendemmia delle uve è scalare, quindi, a seconda del giusto grado di maturazione delle uve e del grado di botritizzazione, si procede a più riprese in vigna scegliendo solo gli acini pronti: il periodo è, solitamente, compreso tra il primo e il ventesimo giorno di dicembre. Dopo la pressatura soffice delle uve e una successiva separazione del deposito, il mosto fermenta a temperatura controllata con lieviti selezionati. Matura per 14 mesi in barrique di rovere per poi passare in bottiglia dove si affina per altri 6 mesi prima della commercializzazione.
Intervista al produttore a cura della Redazione di Top Italian Wine
Passiti: non solo cantuccini e pasta di mandorle, please! A cura di Franco Ziliani
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Denso, fitto nel suo color ambra, denota subito una struttura non banale già osservandone il comportamento nel bicchiere. Al naso ha classe e originalità: a note di lavanda, molto intense, si alternano a quelle fruttate, ma con sfumature davvero ricche e dolci, di dattero e fichi secchi. Un profilo quasi mediterraneo, che guarda a sud, al quale fa da contraltare un sorso di bella precisione stilistica ed equilibrio. Il richiamo floreale della lavanda è forte, ma ciò che colpisce è l’incedere pieno e discreto insieme, fresco e morbido. Un grande passito, con un grande allungo finale che lascia il palato snello e pronto al sorso successivo.
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