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La Cornarea, nata nel 1975 a Canale d’Alba per iniziativa di Piero e Francesca Bovone e poi continuata da figli Piefranco e Gian Nicola (enologo) e un’azienda di fondamentale importanza nella storia e nello sviluppo vitivinicolo della zona del Roero, posta sulla sinistra del fiume Tanaro, in provincia di Alba. Con la sua scelta di puntare esclusivamente sui vitigni autoctoni tipici del territorio, il Nebbiolo e quell’uva bianca straordinaria, dotata di grande duttilità, che è l’Arneis, presente in zona sin dal 1400. Quando i Bovone iniziarono la loro attività, decidendo di puntare su quel vitigno dal nome bizzarro (in dialetto piemontese "bambino discolo", a sottolineare la natura ribelle di questa varietà), e piantandone oltre dieci ettari sulla collina Cornarea, dotata di una perfetta esposizione, l’Arneis era quasi scomparso, tanto che ne rimanevano pochi filari all'interno di vigneti di Nebbiolo. Fu grazie a questa operazione quasi pioneristica che partì quel processo di riscoperta e rilancio dell’Arneis, come varietà a bacca bianca identitaria del Roero, che portò numerose aziende a seguire l’esempio della Cornarea e a decretare il successo del vino che se ne otteneva. Il resto è storia, nel 1989 l’arrivo della Doc Roero Arneis, che prevede l’aggiunta del nome del territorio di provenienza e nel 2005 la Docg. E ancora oggi, trascorsi quasi quarant’anni, dalla collina della Cornarea, così chiamata sin dall'anno 1000 e caratterizzata dalla presenza di un castelletto fatto costruire all'inizio del secolo scorso dall'allora Sindaco di Canale, l'avvocato Eugenio Grillone, l’azienda onora con i propri vini la vocazione vitivinicola del Roero e delle uve che ne sono l’emblema.
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Tarasco Arneis Passito 2009
VdT
Cornarea
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Incredibile ma vero il Tarasco, passito da uve Arneis con oltre trent’anni di storia – la prima versione risale al 1982 – è nato per caso, quando l’enologo aziendale, Piero Bovone, si ricordò, era fine ottobre, di non aver ancora raccolto uva di tre filari posti sulla sommità della collina Cornarea. Grande fu la sorpresa quando, recatosi in vigna, si accorse che quei grappoli dimenticati avevano sviluppato quella componente fondamentale nella creazione del più celebre dei vini passiti, il Sauternes, la muffa nobile, meglio conosciuta come Botritis Cinerea, che con la disidratazione dell'acino modifica la composizione chimica della buccia dell'uva e consente la formazione di una serie, altrimenti irraggiungibili, di aromi. Quasi per scommessa Bovone provò ad applicare la tecnica francese, con la fermentazione del vino, ottenuto da uve appassite, in piccoli legni e quando dopo un anno in visita all’azienda il giornalista Cesare Pillon e Luigi Cotti, titolare dell'omonima storica enoteca di Milano, poterono assaggiare il vino grande fu la sorpresa per la qualità raggiunta e la personalità spiccata. Nacque così, ripetendo l’esperienza l’anno successivo, il Tarasco (dal nome di una pianta presente in zona dotata di un bellissimo fiore giallo, il Tarassaco), con l’attenta selezione delle stesse uve, provenienti da cinque filari perfettamente esposti, su terreni con forte presenza di sabbia e argilla ferrosa, ricchi di magnesio, e identica vinificazione. Oggi, cambiato il clima, le uve vengono raccolte non oltre la metà di ottobre, poste in casette dove continuano l'appassimento in cantina fino a dicembre quando la perdita d'acqua ha superato l'80% e si può procedere alla pressatura dell'uva. Il vino riposa e si affina in barrique usate, che tendono a scolmarsi e non vengono mai ricolmate consentendo un’ossigenazione naturale prolungata, per almeno 48 mesi. L’abbinamento ottimale del vino è a formaggi erborinati, foie gras e robiole stagionate di Roccaverano, ma buoni risultati si ottengono accostandolo alla torta e al gelato di nocciola.
Passiti: non solo cantuccini e pasta di mandorle, please! A cura di Franco Ziliani
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Oro squillante di grande luminosità e brillantezza con una leggera sfumatura verdolina. Profumi solari, mediterranei, di grande intensità e densità, complessi e variegati, di grande freschezza e vivacità, con note dolci calibrate e una bella vena fresca e salata. Le classiche note dell’appassimento delle uve sono tutte presenti, frutta secca, agrumi canditi, fichi, albicocca, miele e uva passita, una nitida vena di mandorla, confettura di arance amare, accenni di fiori e fieno secco, con bella fragranza e linearità. Attacco in bocca suadente, ampio di grande opulenza e freschezza, gusto dolce calibrato, retrogusto di arancia candita, bellissima vena acida che dà slancio alla materia ricca e succosa e bilancia la ricchezza della componente dolce con una leggera vena salata e una persistenza lunghissima e piena di sapore con una vena finale che richiama la mandorla e dà persistenza lunga. Un classico vino da meditazione che è difficile pensare di abbinare ad un dessert, sicuramente si esprime al meglio su formaggi o da solo, da provare l’abbinamento alla classica torta di nocciole di Langa.
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